CHI SONO
Elena Zanoni
Appassionata di comunicazione, lavoro in team e di dinamiche di gruppo, mi sono laureata all’Università di Padova in Psicologia Clinica e di Comunità, con una tesi su I Focus Group.
Da qui, ho iniziato l’attività come facilitatrice di Gruppi Focus, entrando subito a collaborare con un’importante realtà di consulenza di Milano, caratterizzata da un forte orientamento alle Reti nelle comunità territoriali, alla partecipazione dal basso (processi bottom-up) e alle narrazioni legate alla cittadinanza attiva.
Cornice, questa, che poi ha permeato tutto il mio percorso di Formatrice e Consulente in ambito organizzativo.
In circa venti anni d’attività, ho progettato e sviluppato sul campo centinaia di progetti in ambito soft skills & people management, lavorando con PMI, GDO, Gruppi Multinazionali, P.A. e altre realtà afferenti alla Sanità e al mondo del Volontariato.
Numerose le collaborazioni con realtà come Adecco Formazione, Forma del Tempo, HumanForm, Profexa, Apricot, Fondazione Aldini Valeriani, Scinthilla-Esperio, Deloitte Consulting, Cesop HR Consulting, COFIMP, Networking, IReF Lombardia, Metodi Asscom & Aleph, e con l’Università di Bologna.
Al mio attivo ho più di 5.000 ore di docenza e consulenza.

“Ci sono alcuni eventi che hanno segnato e influenzato in modo indelebile le mie scelte professionali, e che sono alla base del mio approccio lavorativo.”
Da dove vengo
Ci sono alcuni eventi che hanno segnato e influenzato in modo indelebile le mie scelte professionali, e che sono alla base del mio approccio lavorativo.
Sono nata a Verona, ma i primi anni di vita li ho trascorsi a Milano, sulla scia delle scelte lavorative paterne. Da allora ho cambiato sede abitativa svariate volte e ho vissuto in luoghi diversi tra cui Marina Romea, Padova, Bologna e ora, di nuovo, Verona. Ho quindi potuto sperimentare sulla mia pelle cosa significa ʺessere trapiantataʺ e ripartire da zero (o quasi), per ricreare legami relazionali significativi e di spessore, in ambienti nuovi e sfidanti.
Le mie esperienze di vita hanno assunto così la forma di un laboratorio sul campo, dove la capacità di osservare e ascoltare, l’esplorazione curiosa, l’approccio empatico, l’orientamento strategico e la proattività sono state le chiavi di volta in quei delicati processi di adattamento costruttivo.
E tutto ciò si è trasformato in una palestra molto arricchente per me.


Un’altra esperienza che mi ha influenzato profondamente ha a che fare con lo sport.
La passione per la pallavolo è stata linfa vitale per me già dalle scuole medie e ricordo ancora l’emozione quando venni selezionata per un ritiro nazionale Under-14. Dall’età di 18 anni, per tre anni consecutivi, ho giocato in serie C2, col ruolo di schiacciatrice centrale. Anche se non si può certo paragonare alla serie A e B, questa scelta si è tradotta in quattro allenamenti alla settimana più la partita (che si giocava sempre il sabato o la domenica) e in trasferte quasi giornaliere di circa 80 Km., tra andata e ritorno.
Non ultimo, arrivava poi il fair play: vincitrici o vinte, a fine partita si scendeva tutte a rete per stringere la mano alle avversarie.
Gli sport di squadra hanno molto da insegnare, sia in termini di allenamento alla fatica, sia in termini di full-immersion in dinamiche di gruppo connotate da un martellante pressing al risultato e ad altissimo tasso emozionale.
Giocare in ambienti dove la competizione sportiva si deve fondere necessariamente con un’ottica di gioco di squadra e di collaborazione mi ha portato a vivere sulla mia pelle quanto i gruppi necessitino di tantissima manutenzione. E a comprendere come il processo di team-building (letteralmente, costruzione del team) dipenda da equilibri in dinamica mutevole che si giocano spesso sulla continua osmosi tra stato individuale, stato del gruppo e contesto dirigenziale.
Dove l’integrazione tra i tre livelli non è cosa affatto scontata.
Infine, la folgorazione sulla via di Damasco.
Avete mai provato quella sensazione, entrando in un luogo e ascoltando l’argomentazione in corso, di aver improvvisamente la pelle d’oca?
Per me è stato così alla prima lezione del corso in Psicologia di Comunità. Considerata da tutti materia marginale nel nostro programma, ci arrivai un po’ in ritardo e senza sapere bene di cosa avrebbe trattato. Seguii tutto il discorso in piedi – i posti a Psicologia a Padova, in quegli anni, si contavano col contagocce. Sotto ipnosi.
Al centro di tutto c’era una figura di Psicologo diversa… dinamica, portata a contattare gli stakeholder e i cittadini spaziando direttamente sul territorio. Colsi subito che l’attività si focalizzava – più che sulla presa in cura di un’urgenza relativa ad una problematica già conclamata – sulla promozione del benessere, in un’ottica di prevenzione delle potenziali criticità e dinamiche non funzionali. Il nucleo di competenze stava nella capacità di creare legami, senso di appartenenza e nella propensione ad attivare comunicazioni ʺponteʺ tra gruppi di cittadini connotati da uno stato di isolamento o di potenziale conflitto tra loro e/o con le istituzioni territoriali.
E in un brivido mi ritrovai a pensare: ʺEcco, è questo che io faròʺ.
Terminato il percorso universitario fu per me naturale specializzarmi e svolgere il tirocinio annuale post-laurea in questo ambito, presso una reputata realtà consulenziale di Milano.
Da allora, questa mission mi ha sempre accompagnata.
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